venerdì 1 novembre 2024

In gita a Fratta Polesine

L’UTE di Sacile

propone

“Sulle tracce di Giacomo Matteotti”

Itinerario a Fratta Polesine

Sabato 23 novembre 2024

CLICCA QUI PER IL PROGRAMMA DETTAGLIATO

LE ISCRIZIONI ALLA GITA SONO APERTE fino a mercoledì 13 novembre PRESSO LA SEGRETERIA UTE


N.B.: L’ISCRIZIONE COMPORTA IL VERSAMENTO DI UN ACCONTO –
 LA METÀ  DELLA QUOTA - DA SALDARE ENTRO LA DATA INDICATA NEL VOLANTINO

PER RAGIONI DI ORGANIZZAZIONE, LE PRENOTAZIONI EFFETTUATE TELEFONICAMENTE O VIA MAIL E NON REGOLATE DA PAGAMENTO NON SARANNO VINCOLANTI PER LA CONFERMA DEI POSTI.

VI RINGRAZIAMO PER LA COLLABORAZIONE.

Corsi generali 5 e 7 novembre - speciale 6 novembre

martedì 3 settembre 2024

 Inaugurazione Anno Accademico 2024/25 

venerdì 27 settembre 2024, h.17 

Ex Chiesa di San Gregorio, Sacile

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“LEMI”

Prolusione a cura di Paolo Maria Noseda 

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 La voce degli altri di Paolo Maria Noseda

 Ognuno di noi è un essere unico, che ha in sé tutto ciò che serve per vivere tranne una cosa: gli altri. Nessun uomo è un’isola, dice il verso più celebre di John Donne, poeta inglese del periodo elisabetiano. Le relazioni, i legami, gli scambi, le connessioni, i confronti: negativi o positivi che siano, sono il necessario combustibile del nostro vivere quotidiano. Intendendo le relazioni con gli altri individui, ma anche con gli altri esseri viventi, con lambiente naturale e con quello antropologico. Andremo dunque a esplorare, da punti di vista e ambiti conoscitivi diversi, l’intricato tessuto dei rapporti che ci legano gli uni agli altri. E chi meglio di un interprete, cioè colui che presta la sua voce per rendere comprensibili le parole di chi parla una diversa lingua e vive una diversa cultura, può testimoniare la straniante, ma vitale verità su cui si fonda ogni relazione?

Paolo Maria Noseda,     interprete di conferenza freelance e traduttore, speech writer, speech coach, ghost writer, traduttore letterario, consulente per la comunicazione internazionale.


L’immagine di noi stessi non è affatto limmagine che ci restituisce lo specchio, ma quella che ci rimanda il corpo sociale, le persone che amiamo, che stimiamo, quelle che ci riconoscono un valore; lo specchio che conta è lo specchio che ci restituisce la dignità del nostro essere umani.  Massimo Recalcati

Dopo il sogno, dopo il tempo, l’Ute di Sacile sceglie un nuovo tema altrettanto stimolante, ampio e impegnativo: le relazioni. Luomo è un animale sociale, scriveva Aristotele nel IV secolo avanti Cristo, quindi un bel po’ di tempo prima che la psicologia sociale esordisse agli albori del Novecento per analizzare approfonditamente lintricato tessuto di una società complessa e in continuo cambiamento. Oggi assistiamo alla parcellizzazione del modello sociale occidentale che, a fronte di una sempre più veloce e globale possibilità di entrare in contatto con realtà anche fisicamente (e non solo) molto lontane, spinta dalla vorticosa innovazione tecnologica confonde i piani della relazione tra reale e virtuale. Siamo tuti connessi: ma è la stessa cosa essere connessi ed essere in relazione con i propri simili, con lambiente, anche naturale, in cui viviamo? L’Ute si conferma come luogo di apprendimento comunitario, come soggetto promotore di cultura, ma soprattutto di relazioni autentiche dove la condivisione è valore fondante di una società davvero umana. Per acquisire nuove consapevolezze su noi stessi e vivere meglio il rapporto con gli altri.

 Per il Direttivo UTE Sacile
Maria Balliana











sabato 15 giugno 2024

C'è un tempo per tutto...

Anche quest’anno accademico UTE è giunto al termine; ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato alle attività: associati, docenti, ospiti e collaboratori; in attesa di ritrovarci e con l’augurio di una buona estate, abbiamo il piacere di salutarvi con una riflessione sul TEMPO, tema del programma 23/24 regalataci da Angelo Floramo, vincitore del Premio Nonino 2024.

IL TEMPO

C’è un tempo per nascere e un tempo per morire.
Un tempo per ridere e un tempo per piangere.
Un tempo per seminare e un tempo per raccogliere.
Così canta la cetra del Quoelet, inseguendo le parole di una Sapienza antica.
E ci sussurra che davanti alla maestosità dell’Eterno, immobile e immutabile, tutto è vanità.
Anzi, vanità delle vanità.
Una consapevolezza che innerva tutta la ricerca della verità nel mondo antico, permeando di sé l’età medievale.
E pare quasi che Dante stesso la rincorra, irridendo la fragilità della bellezza, perfino di Oderisi da Gubbio, di Cimabue e di Giotto:
 
Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il `pappo’ e ‘l `dindi’,

pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.

Eppure, come sussurrava Achille all’orecchio della schiava Briseide, quanto è prezioso questo fuggevole istante per la cui fugacità persino gli dei immortali invidiano l’Uomo!
Nel tempo che ci viene concesso altro non possiamo fare che raccogliere le schegge di un’emozione, tanto ci è dato, lasciare che ogni nostra fibra se ne lasci attraversare mutandole poi entro le chiavi e le architetture della nostra memoria.
Ogni istante si fa così prezioso perché potrebbe essere l’ultimo, l’inattingibile anelito verso l’Eternità.
E il saggio sa goderne perfino le stille.
Noi, noi tutti siamo in definitiva soltanto dei distillatori del tempo, ce ne inebriamo aggiungendo vita agli anni, non anni alla vita, quando ci riesce.
Quando non siamo presi dalla matematicità del secondo, dal granulo della clessidra, dagli ingranaggi di quel “mobile ordigno di dentate rote” che come modulava il nostro Ciro di Pers “macina il tempo e lo riduce in ore, ed ha scritto di fuor con fosche note a chi legger le sa: sempre si more”.
E allora tu, ovunque tu sia ancora, sempre bella Leuconoe dai lunghi capelli neri, sciogli proprio ora le tue trecce sulle tue spalle tornite, sii saggia, come già mille anni fa ti suggeriva di esserlo il poeta, e getta generosa e benevola la legna sul fuoco, mesci vino odoroso dall’anfora sabina per me e per te, amami tutta la notte fino a quando bizzosi a oriente proromperanno i destrieri di Febo.
Dal momento che non è dato sapere quanti inverni ancora gli dei ci daranno in sorte.
Non contarli, non affannarti nell’interrogare la sorte.
Ama, altro non chiederti.
Altro non chiedermi.
Solo così inganneremo l’invida aetas, il tempo che scorre rapace e invidioso, e lo faremo tra i baci che ci scambieremo a mille e a mille, tanto che nessun invidioso potrà né saprà contarli, gettando su di noi i suoi occhi malevoli.
Il tempo è dunque l’attimo che separa ciò che c’è stato e non può più tornare da ciò che ancora non c’è. Il ponte sottile come una lama in cui il futuro diventa passato.
É l’esametron. Il primo metronomo in assoluto, quello che ogni bambino ascolta nel grembo di suo madre: tà-tata tà-tata tà: la musica della vita che batte il tempo fra sistole e diastole fin dentro le viscere del mondo.

Angelo Floramo (Premio Nonino 2024)