Altri usi che mi sono rimasti particolarmente impressi sono quelli relativi alle “ROGAZIONI”, riti celebrati nei tre giorni precedenti la festività de l’”Ascensione” (40 giorni dopo la Pasqua ) che, in quegli anni, si celebrava di giovedì.
La prima di queste rogazioni veniva celebrata il 25 aprile, giorno di San Marco.
Erano processioni che si svolgevano al mattino, molto presto, prima che gli adulti si recassero in campagna ed i bambini a scuola.
Il corteo partiva dalla chiesa e si snodava attraverso la campagna, raggiungendo anche i casolari più isolati. In testa c’erano gli uomini, poi il celebrante con i chierichetti, dietro donne e bambini.
Si diceva il Rosario, si cantavano le Litanie dei Santi, e si pronunciavano particolari preghiere, le “Rogazioni” appunto, che avevano lo scopo di invocare il Signore perché ci preservasse dalle sventure.
Ci sono alcune frasi che ricordo perfettamente: “A fulgore et tempestate (dal fulmine e dalla tempesta), libera nos Domine! (liberaci o Signore!)”; “A peste, fame et bello (dalla peste, dalla fame e dalla guerra), libera nos Domine!”; “A flagello terraemotus (dal flagello del terremoto), libera nos Domine!”.
Come per le litanie, recitate anch’esse in latino, quasi nessuno capiva niente e le frasi venivano storpiate, con effetti che, visti a distanza di anni, avevano del paradossale. Io stessa ho acquisito una certa consapevolezza solo quando ho cominciato a frequentare la scuola media e quindi a studiare la lingua latina. Ed in quel momento si sono squarciate le tenebre che per tanti anni mi avevano fatto percepire il mondo della Chiesa come un arcano.
Quando si arrivava davanti ad un’abitazione o ad un borgo, davanti ai quali veniva allestito una specie di altarino con l’immagine della Sacra Famiglia e delle candele, il corteo si fermava, il prete impartiva la benedizione alla casa e alla campagna circostante e poi si continuava il giro.
Spesso il parroco si fermava per rimproverare i bambini che, buttati giù dal letto all’alba e spediti controvoglia in chiesa, avevano più voglia di giocare che di pregare e di cantare. Anche taluni adulti avevano bisogno di essere richiamati, perché beccati magari a discutere di affari e di quotidianità, che nulla avevano a che vedere con il contesto.
Tutte le località venivano raggiunte nell’arco delle tre uscite, quindi nessuno poteva dirsi trascurato.
La prima di queste rogazioni veniva celebrata il 25 aprile, giorno di San Marco.
Erano processioni che si svolgevano al mattino, molto presto, prima che gli adulti si recassero in campagna ed i bambini a scuola.
Il corteo partiva dalla chiesa e si snodava attraverso la campagna, raggiungendo anche i casolari più isolati. In testa c’erano gli uomini, poi il celebrante con i chierichetti, dietro donne e bambini.
Si diceva il Rosario, si cantavano le Litanie dei Santi, e si pronunciavano particolari preghiere, le “Rogazioni” appunto, che avevano lo scopo di invocare il Signore perché ci preservasse dalle sventure.
Ci sono alcune frasi che ricordo perfettamente: “A fulgore et tempestate (dal fulmine e dalla tempesta), libera nos Domine! (liberaci o Signore!)”; “A peste, fame et bello (dalla peste, dalla fame e dalla guerra), libera nos Domine!”; “A flagello terraemotus (dal flagello del terremoto), libera nos Domine!”.
Come per le litanie, recitate anch’esse in latino, quasi nessuno capiva niente e le frasi venivano storpiate, con effetti che, visti a distanza di anni, avevano del paradossale. Io stessa ho acquisito una certa consapevolezza solo quando ho cominciato a frequentare la scuola media e quindi a studiare la lingua latina. Ed in quel momento si sono squarciate le tenebre che per tanti anni mi avevano fatto percepire il mondo della Chiesa come un arcano.
Quando si arrivava davanti ad un’abitazione o ad un borgo, davanti ai quali veniva allestito una specie di altarino con l’immagine della Sacra Famiglia e delle candele, il corteo si fermava, il prete impartiva la benedizione alla casa e alla campagna circostante e poi si continuava il giro.
Spesso il parroco si fermava per rimproverare i bambini che, buttati giù dal letto all’alba e spediti controvoglia in chiesa, avevano più voglia di giocare che di pregare e di cantare. Anche taluni adulti avevano bisogno di essere richiamati, perché beccati magari a discutere di affari e di quotidianità, che nulla avevano a che vedere con il contesto.
Tutte le località venivano raggiunte nell’arco delle tre uscite, quindi nessuno poteva dirsi trascurato.
Un’abitudine delle nostre parti, che si è persa ormai da decenni, era quella del “PORTARE L’AGNELLO” da parte dei genitori del primo bambino che veniva battezzato con l’acqua benedetta il Sabato Santo. Questa usanza mi è stata riferita dalla mia nonna paterna, che aveva partorito il suo ultimo figlio il 1° di maggio. In quella occasione un agnellino veniva infiocchettato a festa e condotto in chiesa, come pegno per aver avuto l’onore di “imprumar”, cioè di usare per primi, la nuova acqua benedetta. Altro costume diffuso fino agli anni ’60 era quello di “PORTARE IL GALLO” al prete, per la lettura del Vangelo.
Tutte le sere del mese di MAGGIO, poi, erano dedicate al FIORETTO, cioè la recita del Santo Rosario, per lo più sul sagrato del Chiesa – tempo permettendo. Anche quella era un’occasione per gli adulti di evadere per un’oretta dall’ambiente familiare e, per i bambini, di continuare i giochi interrotti all’ora di cena. Infatti, terminato il rito, le famiglie si intrattenevano per un po’ di tempo in piazza. Ricordo ancora l’aria profumata di lillà di quelle serate, all’ombra del campanile.
Serate un po’ pazze erano poi tutti i sabati del mese di maggio, le serate dei “MAGHI”. I giovani ed i ragazzi ne combinavano di tutti i colori ai danni delle ragazze, ma anche delle famiglie in generale. Infatti, durante quelle notti, venivano spostati vasi di fiori, carretti, ruote, che talvolta non si recuperavano più.
Il più delle volte invece era sufficiente ritrovarsi in piazza la domenica mattina, per ritrovare gli oggetti mancanti.
Mi ricordo che una notte erano state prelevate diverse biciclette, che furono poi rinvenute sulle cime degli alberi del cortile della scuola elementare.
Gli scherzi più goliardici riguardavano però le ragazze.
Quelle che “avevano la puzza sotto il naso”, la domenica mattina, trovavano sulla porta di casa sterco di animali.
Quelle che venivano ritenute sessualmente “un po’ audaci”, ricevevano “in omaggio” foglie di una particolare pianta, che in dialetto si chiamava “lingua di vacca”.
Le “normali” o quelle particolarmente carine, trovavano sulla soglia vasi di fiori asportati dalle abitazioni dei vicini.
Tale usanza è andata avanti dalle nostre parti fino agli anni ’90.
Il più delle volte invece era sufficiente ritrovarsi in piazza la domenica mattina, per ritrovare gli oggetti mancanti.
Mi ricordo che una notte erano state prelevate diverse biciclette, che furono poi rinvenute sulle cime degli alberi del cortile della scuola elementare.
Gli scherzi più goliardici riguardavano però le ragazze.
Quelle che “avevano la puzza sotto il naso”, la domenica mattina, trovavano sulla porta di casa sterco di animali.
Quelle che venivano ritenute sessualmente “un po’ audaci”, ricevevano “in omaggio” foglie di una particolare pianta, che in dialetto si chiamava “lingua di vacca”.
Le “normali” o quelle particolarmente carine, trovavano sulla soglia vasi di fiori asportati dalle abitazioni dei vicini.
Tale usanza è andata avanti dalle nostre parti fino agli anni ’90.
Un’altra cerimonia religiosa significativa era…
continua Elide Da Ros
continua Elide Da Ros