lunedì 2 aprile 2012

Pasqua

Ho sempre amato la Pasqua più del Natale, perché per me significa la primavera ed è una festa “colorata”. 
Adoro vedere nelle vetrine le uova di cioccolato avvolte in carte dai mille colori, gli ovetti che spuntano dai cestini di vimini in mezzo alla finta paglia gialla e ai fiorellini di carta  rossi e blu, i pulcini e i conigli di peluche abbracciati a piccole uova semplicemente avvolte in carta stagnola, destinate, come le altre, ad essere aperte da mani frettolose e curiose di scoprire la sorpresa all'interno. Peccato non essere bambini adesso, con tutto questo bendiddio. Ma anche la nostalgia dell’infanzia è particolarmente forte in questo periodo, perché fa affiorare alla mia mente i preparativi che avvenivano a casa mia e che mia madre iniziava già i primi giorni della Settimana Santa. Si preparava il piatto di gelatina di carne che sarebbe stato consumato la mattina di Pasqua e che richiedeva una lavorazione piuttosto laboriosa e una cottura lunghissima del brodo, in cui si cuocevano carni miste con verdure e foglie di alloro.
Pinza
 Il Giovedì o il Venerdì Santo iniziava la preparazione della pinza, tipico dolce che si ritrova in tutta la provincia di Trieste, in Slovenia e in Istria. Richiede ben tre fasi di lievitazione e prima di infornarlo si pratica sulla superficie del panetto un taglio a croce, a simboleggiare il sacrificio di Cristo. Mia mamma preparava più pinze e una piccola solo per me, che io aiutavo ad impastare. Questo rìto mia mamma lo ha ripetuto anche con mia figlia che considera irrinunciabile la pinza a Pasqua. 
Per cucinare i vari panetti di pinza le donne triestine si rivolgevano allora alle panetterie e questo rappresentava per noi bambini un momento irripetibile. Si andava al forno e si aspettava in fila il proprio turno: il panettiere staccava dei numeri di carta: uno veniva messo sulle pinze e l’altro veniva dato a chi le aveva portate, in modo che poi si potesse ritirarle senza scambiare pinze di diversa provenienza. E poi non restava che aspettare. Le donne si sedevano sulle panchine della piazza a chiacchierare e noi bambini a giocare e il gioco si protraeva a lungo, alle volte anche fino a dopo mezzanotte, se le pinze di mia mamma venivano infornate dopo le dieci di sera. 
Andavo a letto che crollavo dal sonno, ma il giorno dopo mi aspettava la preparazione delle uova colorate. Mio padre a volte le dipingeva, ma normalmente erano rosse, gialle, blu, viola. Ne facevamo parecchie, perché poi venivano date anche ai miei cugini che, a loro volta, ci davano le loro. Dopo la colorazione si ungevano con un po’ d’olio d’oliva per lucidarle. Alla sera del Sabato Santo, uova e pinze venivano messe in un paniere rivestito da un tovagliolo di lino, pronte per essere portate il giorno di Pasqua in chiesa per essere benedette. 
A questo proposito apro una parentesi: la prima Pasqua passata a Sacile, nel lontano 1966, mi recai in Duomo e chiesi al primo sacerdote che trovai a che ora  veniva fatta la benedizione delle uova (non certo della pinza, che non è un dolce locale) e devo dire che lo vidi alquanto perplesso, non capendo a cosa mi riferissi. Gli spiegai l’usanza a cui ero abituata, ma mi disse che non la conosceva e anche volendo non mi avrebbe riservato una benedizione tutta per me. 
Benedizione delle uova
Ebbi una rivincita anni dopo, con Monsignor Ravignani vescovo di Vittorio Veneto, che, essendo di Pola e avendo passato parecchi anni nella mia parrocchia di Trieste, disse a don Piero, allora parroco, che pure lui rimpiangeva la benedizione delle uova e delle pinze che sua mamma, esattamente come la mia, portava in chiesa la mattina di Pasqua. 
La stessa usanza l’ho ritrovata in alcuni amici rumeni e nella badante di mia suocera, ucraina, segno che ci sono usi comuni nei paesi  della ex Mitteleuropa. 
Alcuni anni fa rivissi quell’emozione a Trieste, quando constatai che l’usanza della benedizione è ancora praticata, cosicché quella mattina mi recai in chiesa con il mio bel paniere, aspettando il mio turno per la benedizione. 
Presnitz - visto dall'interno
La pinza veniva mangiata la mattina di Pasqua assieme a del prosciutto cotto (quello famoso di Trieste, tipo Praga) e alla gelatina. Il dolce tipico pasquale era ed è tuttora il presnitz, a forma di corona (a simboleggiare la corona di spine del Cristo), fatto di pasta sfoglia e ripieno di noci tritate, pinoli, uvetta, frutta secca, canditi, cioccolato. Questo però mia mamma lo comperava, perché lo riteneva un po’ troppo laborioso da fare in casa.
Presnitz. - visto dall'esterno
Non c’è stata Pasqua in casa mia, a Sacile, dove non fossero presenti la pinza e il presnitz; la gelatina no, perché non è molto gradita né da mio marito né da mia figlia. Ritengo che le tradizioni vadano mantenute e tramandate, perché rappresentano un ricordo del nostro passato, un legane con il presente e una continuazione ideale con il futuro.    Buona Pasqua a tutti.
                                                                    Lucia Accerboni