La nostra amica Maddalena Masutti ci manda questo bel racconto, ricordo di un tempo passato, di una civiltà contadina ormai scomparsa, quando i contadini era veri contadini, le mucche erano vere mucche, e i falò dell'epifania erano vissuti in maniera più intensa.
Grazie Maddalena!
Carissimi amici, non avrei
proprio voluto che l'Epifania finisse tutte le feste.
In precedenza avevo tanto pensato al Panevin che nel campo di mio padre, per tradizione, era pronto almeno una settimana prima del 5 gennaio.
Anche quest'anno era lì a prendersi tutta la pioggia ed io avevo lanciato dei messaggi.
"Desidero sapere quando accendete il Panevin, non vorrei proprio perderlo".
La pioggia continuò fino al mattino del 6 dicembre e i re magi arrivarono senza stella come a Betlemme 2014 anni fa.
Nonno Bruno, l'autore, mio cognato era fiero del suo capolavoro, frutto quest'anno di un'idea geniale. Il vigneto per fornire il materiale non esiste più da anni, ma i platani piantati lungo il fosso per sostenerne l'argine quest'anno erano cresciuti ed egli incominciò in ottobre a tagliarli e ridurli in pezzi adatti alla stufa, con un accorgimento: i rami sottili ancora pieni di foglie verdi li stese a seccare al sole e poi li mise con cura all'interno della casetta ripostiglio in attesa del Panevin.
Quando
incominciò a sistemarlo si trovò in difficoltà perché era solo. I ragazzi se
n'erano andati assicurando che sarebbero tornati giusto al momento di accendere
il falò. Mio papà aveva abituato Gianni il primo dei suoi nipoti a conoscere i
segreti del falò: doveva essere slanciato, ben proporzionato, arieggiato
all'interno, senza vuoti pericolosi, legato in modo da non franare, con il peso
che si andava alleggerendo verso l'alto.
Doveva essere bruciato. Sì! ma doveva essere perfetto. Si trovava sempre in piena vista e non doveva serbare sorprese.
Le macchine filavano a tutta velocità sulla strada, frenando come in atto di devozione, anche fermandosi qualcuna.
Il nostro Panevin aveva il compito, data la posizione, di gareggiare con quelli delle colline e della montagna, per la durata, per l'intensità della luce, per i canti dei partecipanti.
In precedenza avevo tanto pensato al Panevin che nel campo di mio padre, per tradizione, era pronto almeno una settimana prima del 5 gennaio.
Anche quest'anno era lì a prendersi tutta la pioggia ed io avevo lanciato dei messaggi.
"Desidero sapere quando accendete il Panevin, non vorrei proprio perderlo".
La pioggia continuò fino al mattino del 6 dicembre e i re magi arrivarono senza stella come a Betlemme 2014 anni fa.
Nonno Bruno, l'autore, mio cognato era fiero del suo capolavoro, frutto quest'anno di un'idea geniale. Il vigneto per fornire il materiale non esiste più da anni, ma i platani piantati lungo il fosso per sostenerne l'argine quest'anno erano cresciuti ed egli incominciò in ottobre a tagliarli e ridurli in pezzi adatti alla stufa, con un accorgimento: i rami sottili ancora pieni di foglie verdi li stese a seccare al sole e poi li mise con cura all'interno della casetta ripostiglio in attesa del Panevin.
Doveva essere bruciato. Sì! ma doveva essere perfetto. Si trovava sempre in piena vista e non doveva serbare sorprese.
Le macchine filavano a tutta velocità sulla strada, frenando come in atto di devozione, anche fermandosi qualcuna.
Il nostro Panevin aveva il compito, data la posizione, di gareggiare con quelli delle colline e della montagna, per la durata, per l'intensità della luce, per i canti dei partecipanti.
L'accensione fu una sorpresa.
Le larghe e solide foglie di platano non si erano sbriciolate al sole, né erano
marcite sotto la poggia torrenziale. I rami erano stati accostati con arte e
nella giornata dell'Epifania si erano asciugate con un certo orgoglio della
funzione a cui erano chiamate. Incominciarono a bruciare con uniformità e un
tutto-luce così forte da togliere gli occhi.
"Che bello!" "Ma quanto bello!" "Com'è bello il fuoco!" "Bello!" "Nonna Giovanna, canta i canti del Panevin!" "Non posso sono stonata" "Dove vanno le faville?" "Da nessuna parte. Vanno in alto" "Chi sa i proverbi della direzione delle faville?" "Se vanno a mattina, prendi il sacco e va a farina". "Vanno in alto. Andrà tutto bene". "Che bello questo fuoco".
Il bello di quel fuoco fece tacere tutti. Le larghe robuste foglie di platano lanciate con forza verso l'alto si spezzavano in tratti larghi di fuoco, di luce condensata, tutta quella luce senza un filo di fumo.
"E' di una tale bellezza questa tradizione, - disse ad un certo punto Maddalena-junior - che bisogna conservarla per sempre". "Davvero! Nonno Bruno, a chi lasci in eredità il Panevin? Devi fare come il bisnonno Giovanni che lo ha lasciato a Zio Gianni". "Forza, nonno, devi scegliere".
Nonno Bruno si mise in posa: le mani sul culmine della forca e il mento appoggiato sulle mani. "A Marco!" disse forte. E sul volto del tredicenne fratello delle gemelle alto e asciutto apparve una smorfia da annoiato. Venne accompagnata da un palese disappunto. "Non potremmo pensare alle donne?" avanzò qualcuno. "Certo" urlò zio Alessandro, "alle Gemelle!"
In quel momento io stavo guardando lo splendore con cui il fuoco intenso del Panevin accendeva i capelli rossi di una delle due. Sul suo volto nessuna reazione. Niente.
Ma in cielo faville giganti sembravano gareggiare con le stelle, poche, e di una grandezza, di una luce da riempire l'anima. Finché gli alberi ci regalano foglie capaci di alimentare le luci dei falò e di accendere i capelli delle ragazzine, nessuna festa finisce mai del tutto.
Ho tanto pensato a voi,
carissimi amici.
"Che bello!" "Ma quanto bello!" "Com'è bello il fuoco!" "Bello!" "Nonna Giovanna, canta i canti del Panevin!" "Non posso sono stonata" "Dove vanno le faville?" "Da nessuna parte. Vanno in alto" "Chi sa i proverbi della direzione delle faville?" "Se vanno a mattina, prendi il sacco e va a farina". "Vanno in alto. Andrà tutto bene". "Che bello questo fuoco".
Il bello di quel fuoco fece tacere tutti. Le larghe robuste foglie di platano lanciate con forza verso l'alto si spezzavano in tratti larghi di fuoco, di luce condensata, tutta quella luce senza un filo di fumo.
"E' di una tale bellezza questa tradizione, - disse ad un certo punto Maddalena-junior - che bisogna conservarla per sempre". "Davvero! Nonno Bruno, a chi lasci in eredità il Panevin? Devi fare come il bisnonno Giovanni che lo ha lasciato a Zio Gianni". "Forza, nonno, devi scegliere".
Nonno Bruno si mise in posa: le mani sul culmine della forca e il mento appoggiato sulle mani. "A Marco!" disse forte. E sul volto del tredicenne fratello delle gemelle alto e asciutto apparve una smorfia da annoiato. Venne accompagnata da un palese disappunto. "Non potremmo pensare alle donne?" avanzò qualcuno. "Certo" urlò zio Alessandro, "alle Gemelle!"
In quel momento io stavo guardando lo splendore con cui il fuoco intenso del Panevin accendeva i capelli rossi di una delle due. Sul suo volto nessuna reazione. Niente.
Ma in cielo faville giganti sembravano gareggiare con le stelle, poche, e di una grandezza, di una luce da riempire l'anima. Finché gli alberi ci regalano foglie capaci di alimentare le luci dei falò e di accendere i capelli delle ragazzine, nessuna festa finisce mai del tutto.