sabato 29 marzo 2014

Vanni, il nonno e...i brividi di primavera

L’alba livida non prometteva niente di buono. 
Raffiche di vento fendevano l’aria e una fitta, gelida e fastidiosa pioviggine mista a neve non invitava nessuno a mettere il naso fuori della porta. 
Eppure l’inverno  stava per finire: marzo era iniziato da più di una settimana e il sole, quando c’era, aveva il sapore della primavera. 
Vanni, quella mattina, non sarebbe andato a scuola. Era domenica e il nonno gli aveva promesso che sarebbero andati in baita, sul costone roccioso della  montagna che dominava il paese. Avrebbero portato con loro il fido Mastino, un pastore maremmano grande e grosso, buon compagno di giochi all'aria aperta. Vanni non stava nella pelle, sperava di cogliere il primo risveglio della natura dopo la lunga notte dell’inverno.
 Aveva letto sui libri di scuola, e la maestra gliene aveva parlato, che molti animali, con la fine dell’inverno, uscivano dal letargo e scorrazzavano per i prati. 
E poi, andare in baita significava quasi essere adulti, camminare per almeno un paio d’ore, portare con sè il pranzo, vestirsi in modo adeguato… insomma vivere un’avventura. Col naso schiacciato sul vetro della finestra, osservava il tempo e temeva che il nonno ci avrebbe ripensato. Ma, come spesso avviene in montagna, il tempo muta facilmente e, col passare delle ore, il sole aveva avuto ragione delle nubi e del vento gelido dell’alba. 
Speranzoso si era precipitato nell'appartamento del nonno, al piano sottostante, seguito,questa volta, dalla sorellina Gea, più piccola di lui, ma vivace e spigliata come una donnetta. “ Voglio venire anch'io! Voglio venire con voi! - strepitava Gea - sono abbastanza grande e ho fatto esperienza nel reparto scout, e poi è primavera! Voglio vedere se il ruscello si è fatto strada nella neve , voglio...” Erano tanti i desideri di Gea e tanta l’insistenza che bisognava accontentarla. 
Vanni non era contrario, ma l’idea non lo entusiasmava. Il nonno sulle prime obiettò che era pericoloso, che era faticoso… ma poi, visto l’insistenza della nipote, ottenuto il benestare dei genitori e rassicurato dalle condizioni meteorologiche, accondiscese. Vanni andò a prelevare Mastino dalla sua cuccia il quale, come se avesse intuito la scampagnata, non finiva di saltellare intorno ai due ragazzi.
Equipaggiati per l’occasione, dopo una abbondante colazione, si avviarono, zaino in spalla e borraccia a tracolla mentre il nonno non smetteva di dare consigli e avvertimenti.
Una vecchia “500 familiare” , abituata a trasporti di ogni genere, ospitò i cinque viaggiatori. Il tragitto non era lungo, ma non si poteva arrivare a piedi fino al Parco Nazionale. 
La baita del nonno era proprio lì, ai confini del Parco e a mezza costa delle prime alture ma, per raggiungere il sentiero, bisognava percorrere almeno una decina di chilometri in auto. 
Non si stava molto comodi in “ carrozza”, anche perché Mastino, forse soffrendo di claustrofobia, non stava un minuto fermo.
Il sole era abbastanza alto quando iniziarono la salita. Il nonno contava di arrivare alla baita prima di mezzogiorno, governare l’ambiente, dare aria al locale e metterlo in condizioni di essere abitato: almeno per quel giorno e per quelle poche ore. 
Arrivati che furono, mentre il nonno si dedicava ai necessari lavori di manutenzione, i due  ragazzi si dedicarono alla raccolta della legna perché anche se c’era il sole, occorreva accendere il fuoco nel camino, un po’ per riscaldare l’ambiente, un po’ per arrostire i funghi che il nonno, da buon intenditore, aveva raccolto. 
Mastino, libero di correre, spesso si lanciava all'inseguimento di qualche giovane marmotta o saltava nell'improbabile tentativo di afferrare al volo qualche gallo forcello: tentativi sempre falliti, buoni però per far divertire Vanni e Gea. Consumate all'ora di pranzo le provviste che avevano portato e festeggiato con i funghi la scampagnata, i ragazzi avevano ripreso a rincorrersi fino al ruscello parzialmente sgombro di neve. 
Fu in una di queste scorribande che il nonno vide Mastino, parte attiva delle corse  sul prato, irrequieto più del solito. Entrava ed usciva dalla baita emettendo dei guaiti come fossero gemiti; poi, all'improvviso, abbaiava furiosamente e addentava i calzoni del nonno trascinandolo fuori della baita. Il nonno non capiva, ma il comportamento del cane lo insospettì. Uscì all'aperto e non vide i nipoti. Cominciò a chiamarli, a cercarli intorno alla casa, pensando che stessero giocando a nascondino. 
Poi, allarmato dai latrati del cane e temendo il peggio, si lasciò cadere per un momento sul ruvido sedile di legno davanti casa. 
Non si dava pace. Possibile, si chiedeva, che i due ragazzi fossero spariti o fossero così lontani da non sentire i suoi richiami ? Il cane intanto smaniava sempre di più: correva in una direzione e ritornava abbaiando verso il  ruscello. No, non era possibile, pensava il vecchio: lì iniziava la scarpata e il terreno era, oltre che franoso, pieno di rovi. Cento, duecento… mille passi e altrettanti pensieri frullavano nella testa del nonno mentre correva dietro al cane… 
I due ragazzi erano proprio lì, in una intricata e fitta macchia di arbusti, trattenuti sul dirupo da frassini e carpini nani oltre a provvidenziali rami di cornioli e rose di macchia, in una posizione difficilmente raggiungibile se non con degli attrezzi adatti al recupero. Stavano inseguendo un gallo cedrone, dissero, e non si erano accorti...
Erano vivi, coscienti, intirizziti dal freddo che incominciava a farsi sentire, ma erano vivi. Il nonno li rincuorò. Fece loro capire che dovevano essere forti, avere pazienza e soprattutto non fare alcun movimento per non aggravare la situazione: presto li avrebbe tirati fuori. Poi intimò al cane di non allontanarsi, di non abbandonare i ragazzi…Lui  sarebbe tornato prima possibile. 
Non è dato sapere se Mastino avesse ben capito le parole del nonno. Sta di fatti che non si mosse. Di lì a poco il vecchio tornò con una lunga e resistente fune, munita di un gancio ad uno dei capi e usata in baita per fasciare la legna e, uno alla volta, imbragato alla meglio, tirò fuori prima Gea, che il fratello aveva ben assicurata alla corda, poi Vanni, anche lui, come la sorella, segnato dalla paura e dal sangue delle ferite prodotte dai rovi.
In baita, dopo una sommaria ricognizione dei danni, disinfettate e incerottate le ferite col materiale di pronto soccorso a disposizione ci si fermò poco. Il sole volgeva al tramonto e bisognava ridiscendere a valle prima che facesse buio. Nessuno aveva voglia di parlare. Gea, di tanto in tanto, singhiozzava Vanni accarezzava il cane che ricambiava scodinzolando furiosamente la coda. Era buio quando arrivarono alla periferia del borgo dove avevano lasciato la “500”, ma si vedevano le luci del villaggio e questo li rincuorò. 
In auto i due fratelli si appisolarono e Mastino, conscio del suo ruolo, si acquattò tra di loro scaldandoli col tepore del suo lungo pelo. Il nonno li riportò a casa che ormai era notte, e al posto del solito “buonanotte” li salutò con un “ Pensateci ragazzi! Pensateci… i rovi, che tanto vi hanno fatto male, vi hanno salvati: più in basso, in fondo alla scarpata, dove il ruscello si interra per poi riemergere più a valle, c’è una spelonca, una voragine, nella quale si favoleggia che abitino gnomi, folletti e, forse, anche qualche strega!”

Giovanni Coluccia  -  Ancona, marzo 2014.