Da che altezza sei caduta, mamma, il giorno in cui, poco più che quindicenne, in seguito a qualche disagio che manifestavi, ti è stato detto che, probabilmente, aspettavi un bambino? Tu che avevi sempre pensato che i bambini li portasse la cicogna, volatile che, di sicuro, hai visto soltanto su qualche rivista o nei documentari alla TV. Come ti sei sentita davanti al pianto sommesso dei tuoi genitori che, in tempi ancora più bui, avevano provato la stessa vergogna?
E tu nonna, come hai fatto a tenerci nascosta, per tutta la vita, la data del tuo matrimonio, in modo che la tua famiglia non potesse scoprire che, nel lontano 1923, eri stata costretta a nozze “riparatrici”? Temevi forse il giudizio di figli e nipoti?
E tu zia, che a distanza di 50 anni, mi hai confidato che il tuo matrimonio era già nato sotto una cattiva stella, perché rimandato di una settimana a causa della morte di una giovane sorella di tuo padre? Il fatto poi, che il giorno dopo la celebrazione, come viaggio di nozze, ti sia trovata a far legna non su un albero qualsiasi, ma su una dura, spinosa acacia, ti fece presagire che il tuo futuro di donna sposata sarebbe stato costellato di spine. E nemmeno tu hai potuto mai festeggiare un anniversario dei tuoi suoceri, perché nessuno riuscì mai a sapere quando si erano sposati, ovviamente sempre per il medesimo, antico motivo.
E tu sorella, che sei convolata a nozze riparatrici ad appena vent’anni, con la testa ancora piena di sogni? Ricordo, come fosse oggi, che la nostra mamma, quasi piangendo, in una domenica pomeriggio d’autunno, ti disse: “A me è capitato perché non sapevo nulla; avevo sempre sperato che per le mie figlie le cose andassero diversamente!”. Solo la mia sorella più piccola ed io non siamo state “costrette” a sposarci, ma non perché fossimo più virtuose, soltanto più consapevoli! Elide Da Ros