La nostra amica Maria Bortoluzzi ha sviluppato una interessante ricerca, corredata da appunti personali di viaggio.
Proponiamo qui una prima parte, altre a seguire nei prossimi post.
VIOLENZA: una parola che evoca immagini e pensieri incredibili, tristi, a volte orribili e inimmaginabili, e che non risparmia niente e nessuno: persone, animali, la natura e l'ambiente che ci circondano.
Nel mondo occidentale, dal punto di vista legislativo, le donne sono tutelate ed equiparate agli uomini, non c'è dubbio. Nella realtà c'è ancora della strada da fare, però bisogna ammettere che molto è stato raggiunto dai tempi delle suffraggette.
Poiché il 25 novembre 2011 si celebra la Giornata Mondiale per la Eliminazione della Violenza contro la Donna , vorrei dedicare alcune righe a questo problema, rivolgendo il mio sguardo ad alcune realtà lontane da noi e spesso poco conosciute, dove vengono ancora perpetrate delle barbarie per noi inconcepibili.
Purtroppo la realtà è spesso peggiore dell'immaginazione.
Il manifesto dice: " E' MEGLIO AVERE UN SOLO FIGLIO" |
Vorrei iniziare con alcune immagini della Cina, il paese più popoloso del mondo.
In questo paese, da alcuni decenni, si sta portando avanti una massiccia e rigida campagna di controllo delle nascite, quella conosciuta come “un solo figlio per famiglia” , o “figlio unico”.
Recentemente questa regola è stata rivista e ammorbidita, ma solo in determinati casi e condizioni, in genere legati alle agiate condizioni economiche della famiglia.
E' inevitabile che questo programma abbia portato ad anomalie e conseguenze impreviste.
Anche in quella società l'attesa era/è per il figlio maschio: è ovvio che, se il primo nato è una femmina, beh ciò creava/crea problemi e si procedeva, in maniera massiccia nel passato, e si procede tuttora all'eliminazione fisica della bambina.
L'alternativa era, e rimane, quella di non dichiararla alle autorità; in questo modo però la bambina in pratica “non esiste”: non può andare a scuola, trovare regolare lavoro, sposarsi ufficialmente.
La sua vita sarà di schiavitù; prima della famiglia di origine e successivamente di quella di un eventuale “marito” che, non avendo contratto regolare matrimonio, la considererà semplicemente un bene di sua esclusiva proprietà, da usare a suo piacimento.
Dopo il primo figlio, il controllo delle nascite passava principalmente attraverso gli aborti “forzati”.
Oggi si ricorre spesso a questo intervento, se con l'ecografia si scopre che il primo figlio è una femmina.
A questo proposito ricordo che, durante il mio viaggio in Cina nel 1979, fra le varie visite programmate ci fu quella ad una Comune Agricola con annesso “ospedale”.
La struttura era molto rudimentale, ma le nostre guide ci accompagnarono a visitare in particolare i padiglioni, collocati intorno a un cortile sterrato, dove erano ricoverate le donne che venivano fatte abortire.
Nel cortile c'era un bidone dove venivano gettati i feti, e lì accanto la sala degli interventi, con un semplice lettino, poche altre suppellettili, e con una igiene “primitiva”; per noi uno spettacolo poco edificante. Poiché questa visita faceva parte del giro programmato e autorizzato dalle autorità, sicuramente per loro rappresentava un qualcosa di cui essere fieri, nella lotta per il controllo delle nascite.
Ovviamente si è solo pensato di colpire – con violenza – il corpo della donna, mai si è pensato a qualche forma di intervento sul corpo dell'uomo; non me ne vogliano i signori uomini per questa considerazione però, per la donna, l'aborto non è mai una passeggiata, e lascia sempre, o quasi, delle tracce.
Indira Gandhi |
Una campagna massiccia di sterilizzazione maschile, più o meno forzata, e ovviamente indirizzata alle classi più povere, venne lanciata in India per la prima volta negli anni '70. Guarda caso, a quel tempo a capo del Governo c'era una donna: Indira Gandhi.
In ogni caso, anche qui si è trattato, e si tratta, di violenza.
Questa massiccia campagna del “figlio unico maschio” ha, inevitabilmente, portato ad un grave problema di sbilanciamento dei sessi nella società cinese: poche donne per relativamente molti uomini.
Nelle zone confinanti con il Vietnam, Laos in particolare, per ovviare a questo problema è in atto un vero e proprio sistema di rapimento di donne dai villaggi oltre confine, oppure di compra-vendita delle figlie di famiglie poverissime. Queste donne vengono quindi “importate” illegalmente in Cina e rimarranno, per tutta la loro vita, senza alcun diritto e schiave dell'uomo.
Lo stesso problema – sbilanciamento fra i sessi – si sta riscontrando anche in India per le stesse ragioni: eliminazione fisica delle bambine appena nate, nei ceti più poveri, o aborti massicci di feti femminili, nei ceti medio-alti.