lunedì 3 settembre 2012

Il settimanale "L'Azione" della diocesi di Vittorio Veneto ha appena pubblicato un racconto della nostra amica Titti Burigana. Si tratta di una libera rielaborazione basata su una intervista allo scultore Giorgio Igne, che attualmente vive a Cavolano, vicino a Sacile.
Qui di seguito pubblichiamo la presentazione fatta dal settimanale e il racconto integrale.
Buona lettura.



La garbata lettrice Titti Burigana ha liberamente interpretato un’intervista allo scultore Giorgio Igne, ritornato sempre a Cavolano, anche dopo i vari successi ottenuti nel mondo
e che ora, mentre continua a scolpire con gioia ed entusiasmo, si gode il canto degli uccelli e il verde della natura nei luoghi che l’hanno visto bambino.
Nell’azzurro dei suoi occhi il lampo dell’artista.


Nato a Milano nel 1934, Giorgio Igne ha frequentato l'Istituto d'Arte di Venezia e l'Accademia di Brera a Milano. 
Ha soggiornato lungamente in Germania, in Francia e in Belgio. Ha tenuto molte personali ed è stato presente in esposizioni collettive in Italia e all'estero. In particolare ha esposto alla Biennale Internazionale del Bronzetto e della Piccola Scultura di Padova, e alla Triennale della Medaglia di Udine. Sue opere anche monumentali, si trovano in collezioni e spazi pubblici e privati. La sua firma figura su diverse medaglie. Vive e lavora a Sacile, in provincia di Pordenone.


Il bambino si guardava intorno con aria svagata: sempre gli stessi enormi caseggiati; sempre il solito stridio dei tram; sempre l’assordante rumore dei mezzi di trasporto in una città invasa dalla nebbia e dalla paura. La mamma stringeva la sua manina, esortandolo ad affrettarsi.
Ogni mattina era uguale alle altre. Anzi questa si prospettava ancora peggio. Già le sirene avevano suonato l’allarme per due volte: la seconda per cessato pericolo.
Ma nell’aria c’era ancora quel sentore di tragedia sfiorata.
Giorgio sembrava non capire il perché di una vita in continuo affanno.
Uno spiraglio di grigio-azzurro si aprì tra le linee indefinite degli scuri palazzoni, in una Milano che si preparava ad affrontare una nuova giornata di guerra. Bombe, fame, denunce, spari.
Ma anche tanta solidarietà.

Il bambino sognava di tornare  piccolo piccolo, quando non c’erano aerei che, con un rumore sordo, in squadriglia, occupavano quel pezzettino di cielo che rappresentava l’unico spazio non costruito dagli uomini. Allora la mamma e il papà erano abbastanza fiduciosi, anche se già c’erano molte restrizioni e tanti problemi.. Alla sera il papà gli raccontava storie e tradizioni di quei paesi del nord che egli conosceva bene, mentre la mamma rammendava camicie e calzini con un incessante infilare e sfilare l’ago: controllava poi il risultato, esponendoli alla fioca luce di una lampadina a 25 “watt” e si rimetteva subito dopo a cercare altri indumenti da “risanare”.
... Giorgio si accorse che ora i passanti, con un sospiro di sollievo, si scambiavano qualche parola. Alcuni si facevano il segno della croce.
La voce della mamma era ritornata normale.
Rassicurato,  il bambino aveva trovato la maniera più divertente per arrivare a scuola: saltava tutte le righe che delimitavano il lastricato del marciapiede. La mamma, pur che il figlio non perdesse le lezioni, aveva sciolto la mano dalla sua, anche se non lo perdeva mai di vista.
Era l’unico gioco che poteva permettergli.
Nella sua mente era già  presente tutto il lavoro che l’aspettava fuori e dentro casa.
Aveva quell’unico figlio, ma lo stipendio del marito non sarebbe bastato neanche per il minimo indispensabile. Per trovare un uovo dovevano barattare altre merci con quella gente che faceva il mercato nero. O così o niente… Qualche volta era proprio niente.
Non si sa fino a quando avrebbero resistito…
Molte volte con il marito avevano discusso di cosa fare. Cosa sarebbe stato meglio per tutti loro? Andarsene dalla città? E dove avrebbero potuto trovare un lavoro?
Strinse le labbra e corrugò la fronte.
Avrebbe dovuto riparlarne al marito la sera stessa..
... Ormai erano giunti al portone della scuola:  vide sparire lo scolaretto, con il suo sacchettino di tela cucito da lei (che conteneva due quaderni e un astuccio) dentro l’androne.
Sapeva che il padre sarebbe andato a riprenderlo: al mattino egli non lo accompagnava mai, perché gli dispiaceva che un bambino così piccolo dovesse stare per tante ore seduto e attento in un luogo chiuso.
Il loro figlio era molto bravo e prendeva tanti bei dieci. Dava loro delle grandi soddisfazioni…
La mamma sorrise. Erano tempi difficili, ma per lui tutti i sacrifici per farlo studiare non facevano paura…

Quella sera stessa i genitori  decisero che la soluzione migliore per tutti era quella di  restare solo loro a Milano e affidare il figlio ad una famiglia di contadini di Cavolano, in campagna, alla periferia di Sacile, in provincia di Udine.
Sapevano che avrebbero avuto molta cura di lui. E non avrebbe patito la fame.
Certo, anche là c’era il pericolo di bombardamenti: gli alleati cercavano di colpire la vicina stazione ferroviaria per interrompere i collegamenti tedeschi..

Fu così che Giorgio dalla città si trovò catapultato in un mondo sconosciuto, ma che amò fin dal primo istante. Appena arrivato, si immerse nella scoperta della natura, che lo meravigliava.
Studiava ogni piccolo filo d’erba, ogni goccia di rugiada, ogni movimento di animali.
Correva beato tra i prati e gli pareva di essere arrivato nel paradiso terrestre.
Sapeva riconoscere le diverse orme lasciate nel fango e si divertiva ad occuparsi della stalla e delle galline. Aveva imparato a strigliare gli eleganti e forti cavalli.
Ma quello che adorava di più era un giovane asinello dei vicini che aiutava i padroni nei campi e anche nel trasporto dei prodotti. Aveva un bel pelo marroncino grigio, con qualche striatura nera.
Il bambino aveva trovato il sistema di comunicare con lui (dovevo scrivere “esso”, ma ho preferito il “lui”!!). Quando gli parlava, Gigio (questo era il suo nome) drizzava gli orecchi. Emetteva poi un raglio soffocato. Gli rispondeva…
In un primo tempo non capiva molto il milanese, ma poi Giorgio si rivolgeva a lui nel dialetto sacilese. In questo modo, tra carezze e parole era un’intesa fantastica.
Qualche volta Gigio lasciava che il suo amico gli salisse sulla groppa e veloce gli faceva provare l’ebbrezza della corsa e anche del... volo.
Quando erano insieme la guerra non esisteva. C’erano solo loro due…
Prima di andare a dormire, Giorgio passava nella stalla a salutarlo, tra l’indifferenza della Rossa e della Bisa, le due mucche sdraiate  lì vicino, sulla paglia.
E la scuola?
Ci andava, ma non occorreva che alcuno lo accompagnasse: venivano i compagni a prenderlo.
In un primo tempo erano un po’ diffidenti, anche perché lui parlava in italiano e sapeva cose che loro ignoravano. Ma poi, con la simpatia che sapeva suscitare, tutti gli  erano diventati amici.
Conosceva molti nuovi giochi anche con le “balute” (palline colorate di terracotta).
La maestra lo lodava sempre, perché era proprio il primo della classe. Pronto a rispondere alle domande, ordinato e bravissimo in tutto. E poi i suoi disegni erano bellissimi.
Sembrava che tutto fosse magnifico, ma...
... Dopo qualche tempo, un po’ come era successo a Pinocchio, le troppe ore in piena libertà, i compiti non eseguiti, lo portarono ad essere.. l’ultimo della classe.
Il contadino, suo tutore, gli diceva “ Te sé un fiol che te à da cresser.. te à da studià “ ( tu sei un ragazzino..tu devi crescere... tu devi studiare...), ma non era molto convinto. Era soddisfatto di vederlo insieme a lui in campagna, contento e pronto ad aiutarlo in tutti i lavori. E poi, guardandolo con orgoglio, notava che si era molto irrobustito. Aveva perso quell’aria pallida e afflitta che aveva quando era arrivato. La vanga e il rastrello ora stavano saldi nelle sue mani.
Molto meno entusiasta era la maestra. Inutili i suoi rimproveri “Eri così bravo! Cosa diranno i tuoi poveri genitori che si sacrificano per te? Studia! Non perdere il tuo tempo! Ricordati “Chi ha tempo, non aspetti tempo!”
Giorgio ascoltava, ma non se la prendeva più di tanto.
La maestra un giorno lo chiamò alla cattedra, dopo aver fatto alzare in piedi tutti i suoi compagni:
“Siccome non capisci niente, ecco – disse – queste sono le orecchie d’asino che oggi porterai e mostrerai a tutte le classi!” (intendendo con questo infliggergli un grande castigo).
Giorgio considerò la lunghezza e la fattura delle orecchie di carta bianche. Lasciò che la maestra gliele sistemasse bene e poi cominciò subito a ragliare, a saltare, ad accovacciarsi, a imitare tutto quello che aveva visto fare da Gigio. Battimani e fischi di incoraggiamento…
I suoi compagni lo accompagnarono in una sfilata trionfale in tutte le altre aule.
Fu un vero successo.
Invogliati dal suo esempio, anche molti altri scolari si diedero ad una gioia spontanea, liberando tutte le energie “asinine” che  scoprivano di possedere.
Per niente umiliato, anzi esaltato, Giorgio si tenne le orecchie per tutta la mattinata.
Il castigo diventò premio... 
                                                                                                       Titti Burigana