mercoledì 26 dicembre 2012

Il tavolino cinese

Il tavolino cinese di Lucia
L’abat-jour appoggiato sopra il tavolino cinese, dietro la testiera del mio letto, lasciava filtrare una luce giallognola attraverso la seta color oro con figure rosse di draghi che ne costituiva il paralume. 
Mio padre aveva acquistato questo “tavolino da fumo” con portasigarette, portafiammiferi e posacenere in ottone inciso e basamento in  legno di rosa da un suo amico che faceva le rotte dell’Estremo Oriente. 
Era un accessorio di arredamento molto frequente nelle case triestine. All'epoca della mia infanzia mi piaceva utilizzarlo come tavolino da notte, per appoggiarci i libri e i giornali che divoravo prima di dormire. 
Durante la settimana dovevo spegnere l’abat-jour a un’ora non molto tarda, in quanto il giorno dopo dovevo alzarmi presto per andare a scuola. Ma al sabato cercavo di tirarla per le lunghe, per due validi motivi: il giorno dopo era domenica e quindi potevo poltrire a letto, secondo motivo, il più importante, volevo essere sveglia quando mio padre sarebbe ritornato a casa dopo l’appuntamento settimanale con le carte da gioco. 
Mio padre, giocatore appassionato (scopa, briscola, coteccio, poker, ramino) non avrebbe mancato per nessuna ragione al mondo l’incontro con il gruppo di amici che da anni si ritrovavano al sabato sera in un locale del vecchio ghetto. 
Si giocava solo i sabati d’inverno, perché a partire dalla primavera e fino all'autunno inoltrato iniziavano i tornei di bocce. Mio padre usciva con qualsiasi tempo, anche con pioggia e bora; il luogo di ritrovo era molto distante da casa nostra e gli ci volevano circa tre quarti d’ora per raggiungerlo. 
Gli amici di mio padre li conoscevo tutti: erano amici di famiglia che frequentavano la nostra casa con le loro mogli. Assieme a loro, mia madre ed io andavamo, talvolta, ad ascoltare mio padre che si dilettava a suonare il pianoforte, il venerdì sera (non tutti i venerdì, però e solo d’inverno) in un locale non distante da dove abitavamo. 
Adoravo quella specie di piano bar e avrei voluto rimanervi fino alla chiusura, ma l’obbligo scolastico imponeva un rientro anticipato. Ma il sabato sera facevo in modo che il sonno non mi afferrasse, almeno fino a quando mio padre non fosse rientrato. Mia  madre, che dormiva nella stanza accanto, vedendo che la luce era ancora accesa, mi rimproverava bonariamente, dicendo di spegnerla. 
Ma io facevo finta di non sentire e buttavo sul paralume un fazzoletto per smorzare la luce. 
Ma quando lei si presentava sulla soglia e con tono leggermente brusco mi intimava: “Luc” (Luce), significava davvero che dovevo spegnerla. 
Io tentavo una debole difesa: “Se malo, jutri je nedelja” (Ancora un poco, domani è domenica), ma non c’era niente da fare, dovevo obbedire. 
Mi rintanavo sotto le coperte, assaporando il tepore che la stufa in  materiale refrattario continuava ad emettere fino a notte fonda e combattendo contro il sonno che tentava di ghermirmi. 
Brezel - pane intrecciato 
ricoperto di sale grosso
Mio padre rientrava sempre in punta di piedi e non mancava mai di venirmi a salutare. Scostava leggermente le coperte dicendomi: “Bibi, dormi?” Io schizzavo a sedere e aspettavo che mi infilasse in mano qualcosa. C’era sempre un pensierino: caramelle, fave di mandorle,  cioccolatini e, se ero fortunata, un cartoccio con uno o due brezelChiedevo sempre chi avesse vinto e chi perso e a cosa avevano giocato. 
Lui rispondeva pazientemente a tutte le mie domande e poi mi augurava la buona notte, scivolando silenziosamente nella stanza accanto. 
A me sembrava che solo ora potessi addormentarmi tranquilla, sicura che niente avrebbe potuto succedermi con mio padre a casa.

A questo stavo pensando nello spostare il tavolino cinese dall'angolo del mio salotto, per far posto all'albero di Natale. La bella seta color oro con i draghi è stata sostituita nel tempo con dell’altra di colore rosso, ma non è la stessa cosa.
Non ho perso l’abitudine di leggere sino a notte inoltrata e tra libri e riviste il mio comodino assomiglia più che altro ad uno scaffale di libreria. 
E’ strano come, con il passare del tempo, i ricordi d’infanzia riaffiorino con prepotenza, sovrastando tutti gli altri, in special modo quelli legati alla famiglia ed al lavoro. I fatti che ricordiamo sembrano più belli, meno banali e routinari di quanto in realtà non siano stati e siamo tentati di mitizzarli, caricandoli di significati che, magari, non hanno. 
Sarà che con l’età che avanza e, come diceva qualcuno, ho un avvenire alle spalle, indulgo talvolta alla nostalgia, ma in questo caso l’ho fatto per risentire, solo per un attimo, il profumo lieve del legno di rosa del tavolino cinese.
                                                                                    Lucia Accerboni