Ma prima di partire da casa bisognava fare l’elenco dei destinatari, in modo da saper bene quante cartoline comprare.
Mia madre aveva un’agenda dov’erano segnati nome, cognome e indirizzo di parenti e amici, suddivisi per nazionalità: quelli italiani e quelli slavi, poiché anche le cartoline andavano scelte con gli auguri in lingua italiana e lingua slovena, non essendo opportuno utilizzare solo l’italiano (non è cambiato nulla, da allora).
Fatta la conta, magari con qualche aggiunta all’elenco, si partiva per la più vicina cartoleria. Mia madre mi lasciava tutto il tempo per scegliere con calma il tipo di cartolina più adatto ad ogni singola persona o famiglia: quelle con soggetto religioso per nonna e zii, quelle con l’albero di Natale e i regali in bella vista per i cugini e le mie amichette, quelle con i paesaggi invernali per gli amici di famiglia.
Poiché la scelta non era molto ampia, si finiva per comprare dei doppioni, facendo ben attenzione a chi venivano spediti, per non correre il rischio di inviarne due cartoline uguali a componenti di una stessa famiglia.
Le cartoline erano tutte molto belle: appena presa una in mano che mi sembrava potesse andar bene, ecco che ne sbucava un’altra dal mucchio, che mi rendeva indecisa nella scelta.
Nel frattempo mamma acquistava qualche nuovo gingillo da mettere sull’albero in sostituzione di quelli rotti (non erano di plastica come quelli di oggi e nel fare e disfare l’albero inevitabilmente qualcuno finiva ingloriosamente nella pattumiera) e qualche filo d’argento un po’ più “rigoglioso” che andava a sostituire quelli che, con il tempo, avevano perso un po’ di smalto.
Anche le candele, rigorosamente di cera, andavano sostituite con una nuova scatola ogni anno. Terminati gli acquisti si ritornava a casa ed io mi mettevo subito a scrivere gli auguri, con la mia bella grafia tutta svolazzi, di cui ora rimangono ben poche tracce, sostituita, con gli anni, da lettere scarne, tracciate velocemente, perché la fretta è quella che condiziona tutto il nostro tempo e anche lo scrivere ne risente nella forma.
Ripenso a tutto questo mentre sto guardando il pacchetto di cartoline che ho appena ricevuto da un’associazione di volontariato, che con l’invio di questo materiale finanzia le sue opere di carità.
Sono molto belle e assomigliano a quelle della mia infanzia, ma sono più ricche nei colori e la qualità della carta non è certo quella del dopoguerra, ma conservano un fascino rétro, vintage, insomma.
Ho deciso che ne utilizzerò qualcuna per i miei auguri e cercherò di ritrovare la grafia di un tempo; d’altronde ho tutto il tempo che voglio per scriverle e pensare a frasi carine e non scontate da inviare a chi mi è vicino per parentela e amicizia. Lo so che su Internet si trovano cartoline di tutti i tipi e anche quelle musicali e che gli SMS hanno sostituito i messaggi verbali e anche quelli scritti, ma non mi sono mai adattata a questo tipo di comunicazione per le ricorrenze, anche se apprezzo tutti gli altri vantaggi che il computer offre.
E’ impagabile il fascino che emana una bella cartolina vergata con cura, altra cosa sono i messaggi senz’anima che appaiono sullo schermo del computer con allegata una cartolina virtuale pescata a caso tra le tante presenti nei vari siti, messaggi con lo stesso contenuto inviati a più destinatari, che ti fanno sentire uno dei tanti e non un destinatario privilegiato.
Care, vecchie cartoline di una volta, dal fascino particolare, ormai per trovarvi bisogna andare per mercatini.
C’è poesia negli oggetti del passato, perché noi li rievochiamo con dolce malinconia, consci che li possiamo ritrovare solo nel nostro ricordo, testimoni ormai di un tempo perduto.
Lucia Accerboni