Ancora una volta un concerto fa da spunto ad alcuni miei ricordi e riflessioni. Mi trovavo, come ogni secondo mercoledì, alla Fazioli Concert Hall di Sacile per il consueto concerto di pianoforte eseguito, questa volta, da una famosissima pianista lituana.
Dando un’occhiata al programma mi sono soffermata su alcuni Lieder musicati da Schubert, soprattutto sull’ultimo, “der Erlkönig” (il re degli elfi) che chi come me ha studiato tedesco, non può non conoscere. Perfino mio marito, che con il tedesco ha sempre avuto un rapporto conflittuale, se lo ricordava benissimo. I Lieder (canzoni, romanze) sono composizioni musicali per pianoforte e voce solista, per i quali Schubert e Schumann sono gli autori più conosciuti. I compositori si affidavano a testi di ballate scritte da autori famosi, come Schiller, Goethe e Heine.
Il concerto prevedeva, però, solo l’esecuzione pianistica.
La ballata prende spunto da un fatto realmente accaduto: Goethe apprese infatti da un giornale la notizia di un bambino gravemente malato che il padre aveva portato con sé in una precipitosa cavalcata notturna per i boschi, diretto verso il vicino villaggio nel tentativo di salvargli la vita; il bambino, in preda a una fortissima febbre, dice di vedere l' Erlkönig, il Re degli Elfi che lo chiama a sè; il padre si rende naturalmente conto delle condizioni disperate del figlio, che ormai sragiona...una volta giunti alla fattoria infatti, il bimbo è già morto tra le sue braccia.
Eravamo arrivati, mio marito ed io, leggermente in anticipo quella sera, per cui ebbi tutto il tempo di riandare indietro con la memoria al mio primo approccio con il re degli elfi. Terminate le scuole elementari, iniziai il mio cammino con il triennio delle inferiori, dove feci conoscenza con la mia prima insegnante di francese e con quella severissima di tedesco, tale Hildegarde Resen. Le professoresse, allora, portavano il grembiule nero come noi alunne; ma mentre l’insegnante d’italiano, di musica e di francese indossavano un comunissimo grembiule di satin, Hilde ne aveva uno di chiffon, ovviamente trasparente, che lasciava intravedere il vestito sottostante, sempre elegante, neanche dovesse andare a teatro.
Sulla cinquantina, capelli a caschetto leggermente striati di grigio, occhiali sulla punta del naso, scarpe con tacco a spillo, squadrava noi studenti con aria assai poco benevola e già nel fare l’appello uno capiva che aria tirava in classe quel giorno. La grammatica di tedesco ed il vocabolario erano rigorosamente scritti in gotico e nessuno di noi (eravamo una classe numerosa) sfuggiva alla lettura e all’esercizio di traduzione.
Impartiva ordini di tipo militare e ci dava del Lei (Lesen Sie, bitte - Legga per favore…). A me, abituata alla disciplina teutonica di casa mia, dove le istruzioni che mio padre mi dava, per esempio, sugli orari da rispettare per il rientro a casa dopo un’uscita con le amiche, dopo il teatro o d’estate, dopo i bagni di mare e che terminavano con la fatidica frase “Befehl ist Befehl (un ordine è un ordine) il tono di voce imperioso di Hilde non faceva né caldo né freddo. A scuola avevamo anche il pianoforte, per cui Hilde, all’approssimarsi del primo Natale in sua compagnia, decise di farci imparare le canzoni natalizie. E così iniziammo ad apprendere “Stille Nacht” (Astro del ciel) e O Tannenbaum, dedicata quest’ultima all’albero di Natale. Ma non mancava neanche “Oh du lieber Augustin” celebre canzone viennese.
A casa mia cantavo già “Stille Nacht”in tedesco e in sloveno con mia madre, per cui ho sempre avuto e continuo tuttora ad avere qualche difficoltà a cantarlo in italiano. Durante le messe del periodo natalizio devo sempre avere sotto gli occhi il libro dei canti e seguire le strofe con attenzione, perché, altrimenti, la mia mente tende scivolare istintivamente sui versi in tedesco.
Ma torniamo a Hilde.
Eravamo in terza, quando decise di passare a cose decisamente più difficili ed ecco che facemmo la conoscenza con il re degli elfi. La prima fase prevedeva l’apprendimento a memoria del testo in tedesco: otto strofe di quattro righe ciascuna (ho sempre pensato che l’autore, Goethe, avrebbe potuto sintetizzare un po’ la storia, ma tant’è).
La cosa si rivelò più difficoltosa del previsto e dopo inutili tentativi, Hilde decise che per cantare la ballata sarebbe stato necessario che ognuno di noi avesse il testo in mano, onde evitare impappinamenti o improvvisi vuoti di memoria.
Veniva adesso la fase più ostica: imparare la parte musicale, che proprio tanto facile non è.
Ma noi eravamo alunni disciplinati e anche motivati (Hilde non ammetteva il contrario) e quindi alla fine dell’anno scolastico fummo in grado di eseguire il pezzo senza troppi intoppi.
Per la prima volta vidi Hilde soddisfatta di noi e anche un po’ commossa, perché avevamo finito il triennio e nell’autunno avremmo iniziato le superiori.
Rividi Hilde anche negli anni seguenti in quanto frequentava il teatro come me (soprattutto la stagione lirica, ma anche quella sinfonica) e pensavo che fosse ormai in pensione. Ma ebbi subito una smentita: al primo anno di Università, entrando nell’aula di tedesco, me la trovai davanti, niente affatto cambiata: solito cipiglio, occhiali sul naso, grembiule di chiffon.
Erano trascorsi cinque anni, io avevo cambiato taglio di capelli, ero cresciuta di statura, non ero più così magra, non poteva riconoscermi. Speravo che non ricordasse i cognomi di tutti i suoi alunni. Appena entrata, mi squadrò, mi soppesò e mi disse:” Sezione “E”, secondo banco a destra, vicino alla finestra, di fronte alla cattedra.”
Era vero: avevo mantenuto la stessa posizione durante tutto il triennio, anche se le aule erano diverse.
C’era un motivo, in questo: da quel banco si vedeva il mare. Splendidi tramonti al pomeriggio, anche d’inverno. Siccome le classi erano numerose, si andava a scuola una settimana al mattino e una al pomeriggio. All’inizio della primavera il mare scintillava sotto il sole, annunciando l’inizio imminente della stagione dei bagni ed io incominciavo già a sognare le mie giornate balneari in compagnia delle amiche. Tutti questi ricordi attraversarono la mia mente in un attimo, mentre Hilde continuava ad ispezionarmi con gli occhi. Accennò a un sorriso e mi disse: “Ci sarà molto da lavorare, ma sono sicura che le basi che Le ho dato a suo tempo le faciliteranno di molto lo studio.” E così fu. Alcuni studenti che erano con me decisero, dopo un po’, di cambiare sezione, scegliendo un’altra lingua, ma io, abituata alla disciplina di Hilde, rimasi con lei fino al termine degli studi.
Ripensai a tutto questo mentre l’ora d’inizio del concerto si stava avvicinando.
Quando la pianista attaccò il quinto Lied in programma (il re degli elfi, appunto) a distanza di quasi sessant’anni mi ritornarono alla mente i versi di Goethe: “Wer reitet so spät durch Nacht und Wind”? Es ist ein Vater mit seinem Kind” (Chi cavalca nella notte e nel vento? E’ un padre con il suo bambino”).
Non sono riuscita a recitarla mentalmente fino alla fine, ma la musica, quella no, non l’avevo dimenticata. Ho socchiuso gli occhi per non farmi distrarre dalle mani della pianista e ho seguito le note fino alla fine del pezzo.
Grazie Hilde, per aver arricchito la mia mente.
Lucia Accerboni
Per chi volesse ascoltare “der Erlkönig”
il brano è disponibile cliccando su questo link: