Riceviamo dal nostro corrispondente Giovanni Coluccia questo scritto, che pubblichiamo con piacere, e lo ringraziamo per la sua collaborazione.
Fra
pochi giorni andremo a votare: un appuntamento invocato e temuto, atteso e rimosso
secondo i sondaggi e le attese. Pressoché svuotato dei suoi contenuti,
spettacolarizzato come un prodotto da piazzare sul mercato, svilito spesso a
livello d’insulti tra le opposte fazioni, condito d’iperboliche quanto
improbabili promesse, il confronto politico pre-elettorale, più che un’attenta
analisi delle condizioni del Paese e una conseguente assunzione di responsabile
e oculata conduzione dello Stato, appare viziato da una visione strabica della
realtà, una sorta di danza macabra al capezzale di un paziente dalla sorte
segnata. Le condizioni del paziente, note e arcinote a chi le vive sulla
propria pelle, a dir poco, sono latitanti. Abbondano i fuochi d’artificio, come
quelli che, a volte, finiscono le sagre paesane, le “sparate” da osteria e le
claunesche e pittoriche fughe nel becero qualunquismo. Ma la condizione del
“malato”… Ci si gioca tutto come fosse una partita di pallone in cui il pallone
è il Bel Paese, ridotto a così mal partito (e da chi, poi?) da far suonare
quasi ironico l’aggettivo “Bello”. Passata la festa… smaltita la sbornia della
vittoria o metabolizzata l’amarezza della sconfitta, deposte le armi, le spade,
i fioretti, le contumelie e le offese personali, vincitori e vinti riusciranno
a mettere da parte gli interessi di “bottega” per guardare senza strabismo e
cercare il bene del Paese?
Giovanni
Coluccia