Quest'anno sono un po' in ritardo con il mio solito raccontino di Natale.
Buona lettura e tanti auguri a tutti.
Lucia Accerboni
Ginepro natalizio
Sto addobbando il mio alberello di Natale, rigorosamente
autentico, avendo messo definitivamente in cantina quello di plastica made in
China acquistato incautamente alcuni anni fa, che più che rallegrarmi mi faceva
tanta malinconia e il mio pensiero corre ad altri alberi oramai lontani nel tempo.
Mio padre lo acquistava
con largo anticipo e mi aiutava ad addobbarlo, da bambina, poiché lui aveva più
estro di me nel posizionare palline, fili d’argento, dolcetti e candele,
completando il tutto con ciuffi di candida bambagia.
Nella casa dei miei nonni
materni e degli zii l’albero non mancava mai e da loro ne facevano sempre uno
che per me era speciale, era di ginepro e non di abete.
Mio zio Bepi andava a
prenderlo in un campo non molto distante dall'abitazione e lo trascinava a casa
su un carretto, salendo poi una ripida scala fino a raggiungere la cucina, dove
veniva posizionato in un angolo con ai piedi il presepio.
Veniva riccamente
addobbato (o almeno a me sembrava così, in quei Natali del dopoguerra), con
tante candeline e tantissima bambagia, fino a renderlo quasi completamente
bianco.
Noi bambini ci avvicinavamo con cautela all'albero, perché aveva le
foglie pungenti e staccare i dolcetti avvolti in carta dorata diventava
un’impresa quanto mai ardua, per noi che non avevamo la pazienza necessaria per
far scivolare le manine attraverso le foglie e volevamo impossessarci subito
del goloso regalo.
Mi piaceva molto, questo arbusto, soprattutto d’inverno,
quando la brina lo ricopriva creando sui rami candidi ricami che il sole faceva
luccicare con un tremolio simile a quello delle candele.
Ricordo Natali
freddissimi nell'ampia cucina dei nonni, che neanche il brontolio continuo
della grande stufa riusciva a riscaldare.
Ma noi bambini uscivamo lo stesso per
andare a fare il giro di tutte le case del paese dove sapevamo che c’era sempre
un pezzetto di mandorlato o di dolce messo da parte per noi. Guardavamo dall'alto della collina gli altri due paesi di fronte, distanti solo pochi
chilometri, dove abitavano altri zii, che non potevamo frequentare perché un
assurdo confine ce lo impediva e cercavamo di individuare le loro case, perché
così ci aveva insegnato la nonna, che non mancava mai di rivolgere un pensiero
a questi figli e nipoti così vicini eppure così lontani.
Sto pensando a tutto
questo mentre sto mettendo gli ultimi fili d’argento e sto canticchiando “Astro
del ciel” che, lo confesso, non ho mai memorizzato in italiano, continuando a
cantarlo sempre in tedesco (Stille Nacht)
o in sloveno (Sveta
Noč)
così come mio padre e mia madre mi hanno
insegnato.
Credo sia una peculiarità di quelli che vivono a cavallo di più
culture,“hommes aux semelles de vent”
come vengono chiamati in Francia (uomini dalle suole fatte di vento), capaci di
adattarsi a tutte le situazioni, zingari nella vita, senza mai però dimenticare
le proprie radici, curiosi di tutto e, perché no, sognatori fino all'ultimo respiro.
Lucia Accerboni
Buon Natale, frohe Weihnachten, Vesel
božič a tutti.